Categoria: ceramics

Smalti a cenere ad alta temperatura per ceramica: porcellana e gres.

Gli smalti a cenere (visto che belli?!) sono un tipo di smalto estremamente variabile ed imprevedibile per diverse ragioni: il fondente principale, la cenere di legna, è un prodotto naturale che risente del tipo di essenza del legno, del luogo e periodo dell’anno di raccolta ma anche all’interno della stessa specie da esemplare ad esemplare. La cenere può essere utilizzata così com’è oppure lavata, nel primo caso con risultati piuttosto diversi. L’altra ragione per cui è imprevedibile, se usata non lavata, è che la presenza di fondenti sotto forma di elementi solubili (e caustici, quindi attenzione!) la cui concentrazione varia moltissimo altera il risultato a seconda dell’applicazione, del biscotto, di quanto è vecchio lo smalto che abbiamo preparato, e via discorrendo. In alto un piccolo portacandele rivestito con uno degli smalti a cenere sviluppati ad agosto e la sua mattonella di test. ⁠

 

Qualche aggiornamento…

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Ciao a tutti. Una delle regole di base per avere un certo tipo di presenza online, oltre a quella di creare dei contenuti originali ed interessanti è quella di prevedere una certa regolarità negli aggiornamenti. Questa è una regola che decisamente ho infranto lasciando passare molti mesi tra un articolo e l’altro. Il problema con la creazione di contenuti è che è necessario, almeno per lo standard qualitativo che mi sono imposta, un grosso grosso quantitativo di risorse mentali che spesso non ho. Questo perché (e ora vi racconto la mia giornata tipo per farvi comprendere) lavoro in un ufficio la mattina, ed appena ho finito corro a diversi chilometri di distanza (nel traffico di Roma) nel mio laboratorio. Purtroppo non sempre è possibile andarci perché comunque ho una casa e tre gatti a cui badare, e avendo visto cosa succede se non sono presente il giusto, è di fondamentale importanza che sia lì ogni tanto. Detto questo, quando torno la sera, magari intorno alle 9, l’unica cosa che vorrei fare è diventare un tutt’uno con il materasso fino al giorno successivo.

In questi mesi sono stata inoltre immersa in un progetto a dir poco impegnativo che, a causa della mia scarsa esperienza nella realizzazione, ho preso un po’ alla leggera calcolando malissimo i tempi di realizzazione. Si trattava di 200 pezzi tutti uguali più sei pezzi che richiamavano i 200 ma con qualcosa in più. Sto parlando della realizzazione di bomboniere per il matrimonio di due amici di vecchissima data. Il concept era incentrato sul mare, ed abbiamo stabilito che le protagoniste della serie sarebbero state delle stelle marine da utilizzare come calamite. Come procedere nel caso di 200 pezzi da realizzare in tempi brevi(nella mia testa!) e senza grosse differenze tra l’uno e l’altro? Ho deciso di procedere concependo un prototipo dal quale ho ricavato uno stampo in gesso.

Non avendo mai creato da sola uno stampo di successo, una grossa parte del tempo è trascorsa preoccupandomi di tutto quello che poteva andare storto: gesso troppo morbido e friabile, gesso troppo duro e poco assorbente, gesso che non si sarebbe staccato dal piano in formica… insomma, tutti pensieri che hanno boicottato la mia capacità di agire, finché non ho realizzato che il malessere che provavo nel realizzare il primo passo era dovuto proprio ai dubbi. Dubbi che sono stati risolti chiedendo al mio fornitore il codice del gesso che avevo acquistato, apprendendo con sollievo che si trattava di una marca molto diffusa per il quale era presente documentazione con le specifiche sulle parti di gesso vs parti di acqua in un comodo pdf, trovato facendo una ricerca con Google. A quel punto potevo iniziare. Ho creato prima uno stampo singolo del prototipo, da quello stampo ho creato 9 altri prototipi tutti uguali da cui ho ricavato un ulteriore stampo multiplo che avrebbe reso più veloce (almeno così pensavo) la realizzazione dei famosi 200 pezzi.

Ovviamente così non è stato. La ragione risiede nel fatto che lo stampo è stato creato i primi di gennaio, è stato ad asciugare in un luogo abbastanza umido e freddo che ha posticipato anche il momento di inizio dei lavori. Oltre a questo la forma del pezzo era tale che non risultava facilissimo estrarre la forma senza romperla o deformarla, tenendo presente che sul lato inferiore avevo previsto un piccolo incavo circolare che doveva contenere calamita e collante.

La stella marina comunque aveva una profondità ridotta e l’incavo doveva essere abbastanza grande e profondo da alloggiare una calamita senza creare troppo spazio tra il piano dove sarebbe stata attaccata e il pezzo stesso. Questo ha causato il ‘lancio della stella’ nel secchio dell’argilla da riuso più di una volta con conseguente diminuzione dei pezzi pronti per ogni giorno di lavoro. Nella mia testa ero convinta di viaggiare sulle 40 stelle al giorno, quando se tutto andava bene, ma davvero davvero bene, di pezzi pronti ne potevo avere 27 a fronte di 3/4 ore di lavoro -tedioso- a premere gres nei bracci delle stelle, rimuovere l’eccesso, praticare l’incavo, rimuovere l’ulteriore eccesso di argilla, imprimere il marchio con le iniziali VMC,  aspettare che asciugasse il pezzo per estrarlo con cura e adagiarlo su un piano in compensato, dove poi avrei rimosso le crepe superficiali con una spugna, e finalmente procedere a dare la texture superficiale con un piccolo attrezzo da cake design.

 

Al di là dei tempi per la formatura in sé stessa, al contrario di quella che pensavo potesse essere una mia buona capacità di creare pezzi facendo sempre le stesse azioni, muoversi quasi meccanicamente facendo la stessa cosa dalle nove alle ventisette volte in poche ore mi ha decisamente logorato. Però alla fine i biscotti sono stati tirati fuori dal forno, ingobbiati e poi smaltati, con un risultato piuttosto soddisfacente, sia guardando il pezzo singolo, sia per quanto riguarda la visione d’insieme che, devo ammettere, è stata piuttosto bella.

I sei pezzi extra erano delle mattonelle di circa 10×10 con la cara vecchia stella marina incollata sulla superficie, ingobbiata in bianco molto leggero e smaltata sempre con una base trasparente. Il resto della superficie era con sovrapposizioni di uno smalto matte al rame e titanio altamente cristallizzante sopra la base trasparente lucida, creando effetti e colori diversi rispetto agli originali.

Qualche difficoltà anche là, dovuta alla riuscita dell’asciugatura non potendo poggiare sulle mattonelle uno strato duro che le tenesse piatte mentre asciugavano, e qualche timore relativo alla deformazione in cottura ad alta temperatura per via della trazione esercitata da uno strato multiplo di smalto solamente su un lato. Alla fine l’asciugatura è stata portata a termine usando della gommapiuma da imballaggio sopra le mattonelle, sopra la gommapiuma una tavola di compensato e sopra i due materiali il calco in gesso per mantenerci del peso costante.

Alla cottura di prova le mattonelle smaltate si sono deformate, ma per fortuna la deformazione era dovuta ai piedini che avevo messo sotto la lastra in caso lo smalto molto spesso fosse colato giù ed evitare che diventasse un pezzo unico con la tavella del forno. Alla fine i pezzi sono usciti dritti, ben smaltati e con degli effetti davvero molto belli, nonostante in quest’ultima cottura il forno abbia impiegato più di sei ore rispetto a quanto previsto, non raggiungendo per 9 gradi centigradi la temperatura massima impostata, spegnendosi poi con un errore.

Finalmente il lavoro è stato consegnato, i committenti sono rimasti contenti e finalmente è possibile continuare con i nuovi progetti, del resto Natale 2019 è alle porte!

A presto!

VeronicaM

 

Un feldspato di potassio vale l’altro?

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Chi si occupa di ceramica sa benissimo che cosa rappresenta uno smalto. Lo smalto è la pelle di un pezzo, la faccia, la sua aura. C’è chi preferisce usare prodotti commerciali studiati e testati da altri prima di lui – cosa buona e giusta se si è alle prime armi, o se le complicazioni sono qualcosa con cui non si vuole avere a che fare. Di queste ultime persone sono assolutamente invidiosa, perché semplicemente portano al minimo tutto quello che può andare storto e vanno, dritti come treni. Questa è una filosofia. Poi ci sono quelli come me, che la complicazione la vanno a cercare con il detector. Appena percepisco che c’è una cosa in cui posso arrovellarmi fino all’esaurimento nervoso sono pronta a tuffarmi senza chiedermi se troverò acqua oppure no.

Gli smalti sono una di queste complicazioni. Sì perché mica li compro: Colorobbia, Amaco, Mayco, Botz e non so nemmeno quali altre marche ci siano in giro, non ce la faccio a comprarne. Li ho comprati, all’inizio, quando non sapevo dove mettere le mani e nessuno sapeva darmi indicazioni, poi però ho deciso che non era quello il modo, il *mio* modo. Gli li smalti li creo. Da ricette. No, non quelle che trovi su Internet o sui libri, o quelle che ti passa qualche altro ceramista… figuriamoci, sarebbe troppo facile. Gli smalti li concepisco, li pianifico, li assemblo. Prima su carta, poi nel bicchiere a botte di batch da 100 grammi. Non uso metodi empirici, non uso cifre tonde, non mischio polveri a caso. Voglio uno smalto satinato? Ecco lo smalto satinato. Uno lucido? Ecco fatto. Come? Grazie alla conoscenza della composizione di quello che sto utilizzando. Conoscendo le esatte quantità di fondenti, di vetro, di altri elementi fondamentali che sono presenti nelle materie prime da utilizzare, e, ovviamente ancor prima, conoscendo quali materiali utilizzare.

Quando ci troviamo di fronte ad un problema enorme ci sono due modi di affrontarli: vedere l’immensità del monolite impenetrabile che abbiamo davanti e scappare urlando (o ficcare la testa sotto la sabbia) oppure avvicinarsi, guardare bene e scoprire che il monolite in realtà è un muro di mattoncini sovrapposti molto bene a filo tra di loro e che ogni mattoncino in realtà è meno spaventoso di quanto si pensi.

Fatta questa premessa posso passare a parlare dell’argomento anticipato nel titolo del post di oggi: la differenza nei feldspati. Se qualcuno si è mai preso la briga di aprire Wikipedia per cercare di capire che cosa sia mai un feldspato avrà letto: “I feldspati si cristallizzano dal magma sia nelle rocce intrusive sia in quelle effusive; sono anche presenti in molti tipi di rocce metamorfiche e sedimentarie. Il nome deriva dal tedesco Feld (campo) e Spath (termine che indica in modo generico un minerale a struttura laminare). I feldspati possono essere triclini o monoclini” e qua si inizia a smettere di respirare, per poi arrivare all’apoteosi della supercazzola con: “I cristalli sono generalmente prismatici all’incirca tabulari, comunemente geminati. Nell’ortoclasio i due cristalli geminati possono essere compenetrati l’uno nell’altro”. Antani, certo.

La realtà è che a noi ceramisti serve sapere semplicemente che il feldspato è la principale fonte di fondenti alcalini non solubili (tranquilli, ci arriveremo) che servono a gettare la base della creazione di uno smalto per ceramica.

Come dicevo in uno dei primi articoli di questo blog, uno smalto ceramico deve essere composto di quattro elementi indispensabili e imprescindibili: i fondenti alcalini (comunemente sodio, potassio e litio), i fondenti alcalino terrosi (calcio, magnesio, bario, stronzio e mettiamoci anche lo zinco), il vetro (come il silicio e/o il boro) e lo stabilizzante (l’alluminio).

Tralasciando momentaneamente perché è consigliabile utilizzare dei fondenti alcalini non solubili, gli unici materiali che ci danno la possibilità di utilizzare questi elementi chimici sono i feldspati e altri minerali più o meno affini. I più comuni e reperibili tra i fornitori per ceramica sono il feldspato sodico ed il feldspato potassico.
Tipicamente abbiamo una ricetta che riporta del feldspato X, del carbonato di calcio, un po’ di argilla e forse un po’ di quarzo/selce.
Prendiamo una ricetta semplice, trasparente e lucida da cono 10 che probabilmente avremo reperito da qualche sito specializzato d’oltreoceano:

Feldspato Custer  26,3
Carbonato di calcio 21,1
Caolino (teorico) 21
Quarzo 31,6

Il feldspato Custer è un materiale che ha delle caratteristiche chimiche specifiche correlate al luogo da cui viene estratto.

Questo smalto riporta un rapporto di fondenti alcalini:fondenti alcalino terrosi pari a 0,16:0,84 (piuttosto fuori scala come rapporto ma non è quello il focus di questo post), un rapporto di silicio:alluminio pari a 7,82 che ricade perfettamente nell’area degli smalti lucidi.

Se dovessimo sostituire il Custer con uno dei feldspati potassici che troviamo in commercio in Italia della Colorobbia, mantenendo le stesse quantità dei materiali avremmo la formula seguente:

Feldspato potassico MMD157 26,3
Carbonato di calcio 21,1
Caolino (teorico) 21
Quarzo 31,6

dove FA:FAT è 0,19:0,81 e il rapporto Si/Al si attesta su un valore di 7,58

scoprendo a questo punto che i rapporti dei fondenti e del vetro sono cambiati. Sorpresa? No.

Utilizziamo un altro feldspato commercializzato dalla Keram Agency, il KA71

Feldspato KA71 26,3
Carbonato di calcio 21,1
Caolino (teorico) 21
Quarzo 31,6

FA:FAT 0,17:0,83 – Si/Al 7,64 – ancora altri valori.

Vediamo la stessa ricetta con il Feldspato potassico B60 commercializzato dalla Mineral:

Feldspato B60 26,3
Carbonato di calcio 21,1
Caolino (teorico) 21
Quarzo 31,6

FA:FAT 0,16:0,84 e Si/Al 7,84 – differenze anche qua.

Potrei continuare utilizzando altri feldspati laddove una scheda tecnica sia reperibile ma di fatto, a meno di grosse variazioni nel contenuto di potassio, (i numeri sono differenti, è vero) il risultato è all’incirca lo stesso. La variazione riguarda minimamente il contenuto di potassio rispetto a quello di sodio, che comunque è sempre presente almeno in tracce, trattandosi di un minerale estratto e non ‘assemblato’, ma sostanzialmente il risultato non cambia. Quindi la conclusione è che, almeno sulla carta, un feldspato di potassio vale all’incirca un altro.

Se qualche lettore si trovasse tra le mani una scheda tecnica di un feldspato in suo possesso e volesse verificare se sostituendolo con un altro la differenza è sostanziale può scrivere nei commenti di questo articolo.

A presto!