Categoria: smalti

Smalti a cenere ad alta temperatura per ceramica: porcellana e gres.

Gli smalti a cenere (visto che belli?!) sono un tipo di smalto estremamente variabile ed imprevedibile per diverse ragioni: il fondente principale, la cenere di legna, è un prodotto naturale che risente del tipo di essenza del legno, del luogo e periodo dell’anno di raccolta ma anche all’interno della stessa specie da esemplare ad esemplare. La cenere può essere utilizzata così com’è oppure lavata, nel primo caso con risultati piuttosto diversi. L’altra ragione per cui è imprevedibile, se usata non lavata, è che la presenza di fondenti sotto forma di elementi solubili (e caustici, quindi attenzione!) la cui concentrazione varia moltissimo altera il risultato a seconda dell’applicazione, del biscotto, di quanto è vecchio lo smalto che abbiamo preparato, e via discorrendo. In alto un piccolo portacandele rivestito con uno degli smalti a cenere sviluppati ad agosto e la sua mattonella di test. ⁠

 

Esperimenti con uno smalto per ceramica shino gold

Ciao! In questo periodo di quarantena non è facile portare avanti la ceramica, il mio laboratorio è lontano da casa e non ho potuto raggiungerlo. Ho recuperato un pacco di argilla rossa che più rossa non si può e ho cominciato a giocarci, come non facevo ormai da tanto tempo, ho creato oggetti a colombino e anche con la tecnica pinch o pizzicato, i risultati sono stati molto incoraggianti e spero di poterli mostrare cotti il più presto possibile!

Questo piccolo contenitore è stato un esperimento al tornio. Non è perfetto ma l’ho trovato abbastanza carino da ritenerlo buono per il biscotto. Ha avuto una sorte particolare, se volete sapere che fine ha fatto leggete di seguito…⁠

Dopo la prima cottura a biscotto ho applicato questo smalto sperimentale che ho preparato seguendo le linee guida per una tipologia molto particolare di rivestimento, adatta soprattutto per le cotture atmosferiche (in questo caso utilizzando la legna come combustibile) chiamato shino. Lo shino è un tipo di smalto che non contiene una quantità esagerata 😄di allumina, e uno solo dei due tipi di fondenti. Il risultato è bellissimo, ma il mio smalto è un esperimento. Secondo voi com’è andata? 😊⁠

 

Esperimento… non riuscito! 💔Purtroppo il risultato non è stato all’altezza delle aspettative, ma sicuramente ha un aspetto interessante, anche grazie alla cenere che si è depositata sul coperchio durante la cottura. Perché? Errore n.1: aggiungere acqua non necessaria! Ogni smalto ha una quantità d’acqua ideale per esprimere il potenziale che stiamo cercando in lui! In questo caso, trattandosi di uno smalto con una quantità ridicolmente alta di argilla suddivisa tra ball clay e caolino, contenendo anche del carbonato di sodio, il mix era estremamente denso e praticamente impossibile da applicare. Dopo aver aggiunto del silicato di sodio sperando che potesse migliorare la situazione, ovviamente senza successo, ed essendo piuttosto di corsa (il giorno dopo avrei dovuto effettuare l’applicazione), ho aggiunto acqua. Ovviamente senza quasi alcun cambiamento. Il giorno dopo, forse per via dell’acqua che finalmente era penetrata tra le particelle, lo smalto aveva una consistenza più umana. ⁠

Qualche aggiornamento…

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Ciao a tutti. Una delle regole di base per avere un certo tipo di presenza online, oltre a quella di creare dei contenuti originali ed interessanti è quella di prevedere una certa regolarità negli aggiornamenti. Questa è una regola che decisamente ho infranto lasciando passare molti mesi tra un articolo e l’altro. Il problema con la creazione di contenuti è che è necessario, almeno per lo standard qualitativo che mi sono imposta, un grosso grosso quantitativo di risorse mentali che spesso non ho. Questo perché (e ora vi racconto la mia giornata tipo per farvi comprendere) lavoro in un ufficio la mattina, ed appena ho finito corro a diversi chilometri di distanza (nel traffico di Roma) nel mio laboratorio. Purtroppo non sempre è possibile andarci perché comunque ho una casa e tre gatti a cui badare, e avendo visto cosa succede se non sono presente il giusto, è di fondamentale importanza che sia lì ogni tanto. Detto questo, quando torno la sera, magari intorno alle 9, l’unica cosa che vorrei fare è diventare un tutt’uno con il materasso fino al giorno successivo.

In questi mesi sono stata inoltre immersa in un progetto a dir poco impegnativo che, a causa della mia scarsa esperienza nella realizzazione, ho preso un po’ alla leggera calcolando malissimo i tempi di realizzazione. Si trattava di 200 pezzi tutti uguali più sei pezzi che richiamavano i 200 ma con qualcosa in più. Sto parlando della realizzazione di bomboniere per il matrimonio di due amici di vecchissima data. Il concept era incentrato sul mare, ed abbiamo stabilito che le protagoniste della serie sarebbero state delle stelle marine da utilizzare come calamite. Come procedere nel caso di 200 pezzi da realizzare in tempi brevi(nella mia testa!) e senza grosse differenze tra l’uno e l’altro? Ho deciso di procedere concependo un prototipo dal quale ho ricavato uno stampo in gesso.

Non avendo mai creato da sola uno stampo di successo, una grossa parte del tempo è trascorsa preoccupandomi di tutto quello che poteva andare storto: gesso troppo morbido e friabile, gesso troppo duro e poco assorbente, gesso che non si sarebbe staccato dal piano in formica… insomma, tutti pensieri che hanno boicottato la mia capacità di agire, finché non ho realizzato che il malessere che provavo nel realizzare il primo passo era dovuto proprio ai dubbi. Dubbi che sono stati risolti chiedendo al mio fornitore il codice del gesso che avevo acquistato, apprendendo con sollievo che si trattava di una marca molto diffusa per il quale era presente documentazione con le specifiche sulle parti di gesso vs parti di acqua in un comodo pdf, trovato facendo una ricerca con Google. A quel punto potevo iniziare. Ho creato prima uno stampo singolo del prototipo, da quello stampo ho creato 9 altri prototipi tutti uguali da cui ho ricavato un ulteriore stampo multiplo che avrebbe reso più veloce (almeno così pensavo) la realizzazione dei famosi 200 pezzi.

Ovviamente così non è stato. La ragione risiede nel fatto che lo stampo è stato creato i primi di gennaio, è stato ad asciugare in un luogo abbastanza umido e freddo che ha posticipato anche il momento di inizio dei lavori. Oltre a questo la forma del pezzo era tale che non risultava facilissimo estrarre la forma senza romperla o deformarla, tenendo presente che sul lato inferiore avevo previsto un piccolo incavo circolare che doveva contenere calamita e collante.

La stella marina comunque aveva una profondità ridotta e l’incavo doveva essere abbastanza grande e profondo da alloggiare una calamita senza creare troppo spazio tra il piano dove sarebbe stata attaccata e il pezzo stesso. Questo ha causato il ‘lancio della stella’ nel secchio dell’argilla da riuso più di una volta con conseguente diminuzione dei pezzi pronti per ogni giorno di lavoro. Nella mia testa ero convinta di viaggiare sulle 40 stelle al giorno, quando se tutto andava bene, ma davvero davvero bene, di pezzi pronti ne potevo avere 27 a fronte di 3/4 ore di lavoro -tedioso- a premere gres nei bracci delle stelle, rimuovere l’eccesso, praticare l’incavo, rimuovere l’ulteriore eccesso di argilla, imprimere il marchio con le iniziali VMC,  aspettare che asciugasse il pezzo per estrarlo con cura e adagiarlo su un piano in compensato, dove poi avrei rimosso le crepe superficiali con una spugna, e finalmente procedere a dare la texture superficiale con un piccolo attrezzo da cake design.

 

Al di là dei tempi per la formatura in sé stessa, al contrario di quella che pensavo potesse essere una mia buona capacità di creare pezzi facendo sempre le stesse azioni, muoversi quasi meccanicamente facendo la stessa cosa dalle nove alle ventisette volte in poche ore mi ha decisamente logorato. Però alla fine i biscotti sono stati tirati fuori dal forno, ingobbiati e poi smaltati, con un risultato piuttosto soddisfacente, sia guardando il pezzo singolo, sia per quanto riguarda la visione d’insieme che, devo ammettere, è stata piuttosto bella.

I sei pezzi extra erano delle mattonelle di circa 10×10 con la cara vecchia stella marina incollata sulla superficie, ingobbiata in bianco molto leggero e smaltata sempre con una base trasparente. Il resto della superficie era con sovrapposizioni di uno smalto matte al rame e titanio altamente cristallizzante sopra la base trasparente lucida, creando effetti e colori diversi rispetto agli originali.

Qualche difficoltà anche là, dovuta alla riuscita dell’asciugatura non potendo poggiare sulle mattonelle uno strato duro che le tenesse piatte mentre asciugavano, e qualche timore relativo alla deformazione in cottura ad alta temperatura per via della trazione esercitata da uno strato multiplo di smalto solamente su un lato. Alla fine l’asciugatura è stata portata a termine usando della gommapiuma da imballaggio sopra le mattonelle, sopra la gommapiuma una tavola di compensato e sopra i due materiali il calco in gesso per mantenerci del peso costante.

Alla cottura di prova le mattonelle smaltate si sono deformate, ma per fortuna la deformazione era dovuta ai piedini che avevo messo sotto la lastra in caso lo smalto molto spesso fosse colato giù ed evitare che diventasse un pezzo unico con la tavella del forno. Alla fine i pezzi sono usciti dritti, ben smaltati e con degli effetti davvero molto belli, nonostante in quest’ultima cottura il forno abbia impiegato più di sei ore rispetto a quanto previsto, non raggiungendo per 9 gradi centigradi la temperatura massima impostata, spegnendosi poi con un errore.

Finalmente il lavoro è stato consegnato, i committenti sono rimasti contenti e finalmente è possibile continuare con i nuovi progetti, del resto Natale 2019 è alle porte!

A presto!

VeronicaM

 

Un feldspato di potassio vale l’altro?

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Chi si occupa di ceramica sa benissimo che cosa rappresenta uno smalto. Lo smalto è la pelle di un pezzo, la faccia, la sua aura. C’è chi preferisce usare prodotti commerciali studiati e testati da altri prima di lui – cosa buona e giusta se si è alle prime armi, o se le complicazioni sono qualcosa con cui non si vuole avere a che fare. Di queste ultime persone sono assolutamente invidiosa, perché semplicemente portano al minimo tutto quello che può andare storto e vanno, dritti come treni. Questa è una filosofia. Poi ci sono quelli come me, che la complicazione la vanno a cercare con il detector. Appena percepisco che c’è una cosa in cui posso arrovellarmi fino all’esaurimento nervoso sono pronta a tuffarmi senza chiedermi se troverò acqua oppure no.

Gli smalti sono una di queste complicazioni. Sì perché mica li compro: Colorobbia, Amaco, Mayco, Botz e non so nemmeno quali altre marche ci siano in giro, non ce la faccio a comprarne. Li ho comprati, all’inizio, quando non sapevo dove mettere le mani e nessuno sapeva darmi indicazioni, poi però ho deciso che non era quello il modo, il *mio* modo. Gli li smalti li creo. Da ricette. No, non quelle che trovi su Internet o sui libri, o quelle che ti passa qualche altro ceramista… figuriamoci, sarebbe troppo facile. Gli smalti li concepisco, li pianifico, li assemblo. Prima su carta, poi nel bicchiere a botte di batch da 100 grammi. Non uso metodi empirici, non uso cifre tonde, non mischio polveri a caso. Voglio uno smalto satinato? Ecco lo smalto satinato. Uno lucido? Ecco fatto. Come? Grazie alla conoscenza della composizione di quello che sto utilizzando. Conoscendo le esatte quantità di fondenti, di vetro, di altri elementi fondamentali che sono presenti nelle materie prime da utilizzare, e, ovviamente ancor prima, conoscendo quali materiali utilizzare.

Quando ci troviamo di fronte ad un problema enorme ci sono due modi di affrontarli: vedere l’immensità del monolite impenetrabile che abbiamo davanti e scappare urlando (o ficcare la testa sotto la sabbia) oppure avvicinarsi, guardare bene e scoprire che il monolite in realtà è un muro di mattoncini sovrapposti molto bene a filo tra di loro e che ogni mattoncino in realtà è meno spaventoso di quanto si pensi.

Fatta questa premessa posso passare a parlare dell’argomento anticipato nel titolo del post di oggi: la differenza nei feldspati. Se qualcuno si è mai preso la briga di aprire Wikipedia per cercare di capire che cosa sia mai un feldspato avrà letto: “I feldspati si cristallizzano dal magma sia nelle rocce intrusive sia in quelle effusive; sono anche presenti in molti tipi di rocce metamorfiche e sedimentarie. Il nome deriva dal tedesco Feld (campo) e Spath (termine che indica in modo generico un minerale a struttura laminare). I feldspati possono essere triclini o monoclini” e qua si inizia a smettere di respirare, per poi arrivare all’apoteosi della supercazzola con: “I cristalli sono generalmente prismatici all’incirca tabulari, comunemente geminati. Nell’ortoclasio i due cristalli geminati possono essere compenetrati l’uno nell’altro”. Antani, certo.

La realtà è che a noi ceramisti serve sapere semplicemente che il feldspato è la principale fonte di fondenti alcalini non solubili (tranquilli, ci arriveremo) che servono a gettare la base della creazione di uno smalto per ceramica.

Come dicevo in uno dei primi articoli di questo blog, uno smalto ceramico deve essere composto di quattro elementi indispensabili e imprescindibili: i fondenti alcalini (comunemente sodio, potassio e litio), i fondenti alcalino terrosi (calcio, magnesio, bario, stronzio e mettiamoci anche lo zinco), il vetro (come il silicio e/o il boro) e lo stabilizzante (l’alluminio).

Tralasciando momentaneamente perché è consigliabile utilizzare dei fondenti alcalini non solubili, gli unici materiali che ci danno la possibilità di utilizzare questi elementi chimici sono i feldspati e altri minerali più o meno affini. I più comuni e reperibili tra i fornitori per ceramica sono il feldspato sodico ed il feldspato potassico.
Tipicamente abbiamo una ricetta che riporta del feldspato X, del carbonato di calcio, un po’ di argilla e forse un po’ di quarzo/selce.
Prendiamo una ricetta semplice, trasparente e lucida da cono 10 che probabilmente avremo reperito da qualche sito specializzato d’oltreoceano:

Feldspato Custer  26,3
Carbonato di calcio 21,1
Caolino (teorico) 21
Quarzo 31,6

Il feldspato Custer è un materiale che ha delle caratteristiche chimiche specifiche correlate al luogo da cui viene estratto.

Questo smalto riporta un rapporto di fondenti alcalini:fondenti alcalino terrosi pari a 0,16:0,84 (piuttosto fuori scala come rapporto ma non è quello il focus di questo post), un rapporto di silicio:alluminio pari a 7,82 che ricade perfettamente nell’area degli smalti lucidi.

Se dovessimo sostituire il Custer con uno dei feldspati potassici che troviamo in commercio in Italia della Colorobbia, mantenendo le stesse quantità dei materiali avremmo la formula seguente:

Feldspato potassico MMD157 26,3
Carbonato di calcio 21,1
Caolino (teorico) 21
Quarzo 31,6

dove FA:FAT è 0,19:0,81 e il rapporto Si/Al si attesta su un valore di 7,58

scoprendo a questo punto che i rapporti dei fondenti e del vetro sono cambiati. Sorpresa? No.

Utilizziamo un altro feldspato commercializzato dalla Keram Agency, il KA71

Feldspato KA71 26,3
Carbonato di calcio 21,1
Caolino (teorico) 21
Quarzo 31,6

FA:FAT 0,17:0,83 – Si/Al 7,64 – ancora altri valori.

Vediamo la stessa ricetta con il Feldspato potassico B60 commercializzato dalla Mineral:

Feldspato B60 26,3
Carbonato di calcio 21,1
Caolino (teorico) 21
Quarzo 31,6

FA:FAT 0,16:0,84 e Si/Al 7,84 – differenze anche qua.

Potrei continuare utilizzando altri feldspati laddove una scheda tecnica sia reperibile ma di fatto, a meno di grosse variazioni nel contenuto di potassio, (i numeri sono differenti, è vero) il risultato è all’incirca lo stesso. La variazione riguarda minimamente il contenuto di potassio rispetto a quello di sodio, che comunque è sempre presente almeno in tracce, trattandosi di un minerale estratto e non ‘assemblato’, ma sostanzialmente il risultato non cambia. Quindi la conclusione è che, almeno sulla carta, un feldspato di potassio vale all’incirca un altro.

Se qualche lettore si trovasse tra le mani una scheda tecnica di un feldspato in suo possesso e volesse verificare se sostituendolo con un altro la differenza è sostanziale può scrivere nei commenti di questo articolo.

A presto!

 

 

I coni pirometrici

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Coni montati su un supporto di argilla refrattaria.

Uno strumento molto importante nella misurazione del lavoro svolto dal calore nei forni per la ceramica è rappresentato dai coni pirometrici. Rispetto alla storia della ceramica sono uno strumento ‘moderno’, messi a punto nel 1886 dal chimico tedesco Hermann August Seger. Prima dei coni, e dei pirometri moderni, la temperatura di un forno veniva stimata a vista – sì, con gli occhi! – basandosi sul colore che la fiamma prendeva nei vari stadi di cottura. Questo metodo, oltre che non esattamente accurato (si basava infatti sull’abilità di chi era addetto a questo compito) era anche estremamente dannoso per la vista, portando progressivamente alla cecità. Oggi disponiamo di pirometri deputati a misurare la temperatura nei vari stadi di cottura, ma anche questi ultimi, a meno di non avere tra le mani degli strumenti estremamente costosi come ad esempio un pirometro ottico, possono non essere precisi, con uno scarto anche fino a 25 gradi centigradi al di sopra o al di sotto della temperatura ideale per i nostri scopi. Questo accade perché il materiale di cui è composta la termocoppia posta all’interno della camera di cottura del forno va incontro a degradazione graduale nel tempo rendendo così la misurazione via via sempre più imprecisa. I coni, che hanno una composizione standard a seconda della quantità di lavoro sviluppato dal calore che devono andare a misurare, rappresentano uno strumento estremamente utile e preciso per capire quanto efficace sia stata la cottura, ed oltre a questo vengono anche utilizzati per mappare le zone più o meno calde del nostro forno (non pensavate mica che il calore fosse uniforme in tutto il volume della camera di cottura, vero?). Ogni cono, come dicevo più su, è composto da determinate quantità di fondenti e di vetro, in proporzioni variabili a seconda del calore che deve essere sviluppato per far funzionare uno smalto. Di fatto, i coni, sono composti dalle stesse materie che compongono uno smalto. Un cono, in pratica, è uno smalto esso stesso. Il cono numero 4 fonde completamente a cono 10. Sono ovviamente tarati in modo tale che ad una data temperatura prendano sempre una curvatura precisa. E’ facile comprendere, secondo quest’ottica, che la temperatura finale alla quale impostiamo il forno, o dichiariamo di cuocere uno smalto, lascia il tempo che trova, in pratica non significa quasi niente. Quello che è importante capire, dunque, è che non è la temperatura in sé stessa che matura uno smalto, ma il lavoro, l’effetto, che il calore sviluppa, promuovendo la fusione dei diversi materiali, amalgamandoli tra loro e creando una matrice amorfa e stabile in grado di resistere ad attacchi di agenti chimici, uso quotidiano e via dicendo. Se guardiamo ad esempio la tabella della temperatura dei coni Orton, notiamo intanto che esistono diverse tipologie di coni, e che ad ogni cono corrispondono diverse temperature in base alla velocità a cui viene completata la cottura negli ultimi 100 gradi. Vi porto l’esempio del cono 10, spesso rappresentato con il simbolo Δ, Δ10, dunque. Prendiamo in considerazione il cono grande, o large cone, nelle tabelle. Le due temperature finali dichiarate sono 1282 gradi e 1303 gradi, perché? Perché come dicevo poco più su, la temperatura finale varia in base a quanto velocemente viene completata la cottura durante gli ultimi 100 gradi. Spiego meglio: la temperatura di 1282 è sufficiente per cuocere uno smalto che ha una formula ovviamente specifica per questo lavoro di calore, se gli ultimi 100 gradi di questa cottura vengono completati ad una velocità di 60 °C all’ora. Significa che da 1182 a 1282 gradi il tempo impiegato è di un’ora e quaranta minuti. Questo ritmo ha lo stesso effetto in termini di fusione di una rampa che va da 1203 a 1303 °C in quaranta minuti. La precisione della misurazione, in ogni caso, è strettamente dipendente dal modo in cui vengono montati. Diciamo che per semplificarci la vita basterebbe utilizzare la tipologia di coni autosupportanti(tra l’altro le temperature finali, per questa tipologia di cono, sono ancora differenti), ma la facilità con cui possono essere reperiti i large cones rispetto ai self-supporting cones, fanno sì che gli accorgimenti necessari – e ce ne sono! – per una riuscita della misurazione siano un fastidio minimo rispetto alla quantità di informazioni che è possibile raccogliere grazie ad essi.

 

RO: Calcio, Magnesio, Stronzio, Bario e Zinco.

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Il gruppo degli RO comprende composti con gli ossidi formati dall’elemento (o radice, R) e da una una molecola di ossigeno. In questo gruppo troviamo il calcio, il magnesio, lo stronzio, il bario e lo zinco. I primi quattro sono fondenti alcalino-terrosi, lo zinco è un fondente metallico.

L’ossido di calcio, CaO, è un fondente utilizzato soprattutto alle alte temperature data la sua alta temperatura di fusione. Aggiunto agli smalti a bassa temperatura produce effetti satinati, ma non partecipa alla fusione del silicio. Negli smalti a temperature intermedie viene utilizzato assieme ad alti fondenti che assistono la fusione. Conferisce durezza e resistenza alle abrasioni ed all’azione degli acidi. Contrasta l’alto coefficiente di espansione dei fondenti R2O, ma anche il calcio, se presente in quantità eccessive, può dare luogo alla formazione di cavilli, oltre che alla devitrificazione con formazione di cristalli (quest’ultima caratteristica può essere attenuata se la cottura viene fatta rapidamente). La risposta di colore è mediamente buona, anche se in quantità elevate può dar luogo a fenomeni di sbiancamento. Fonti di calcio sono il carbonato di calcio, la dolomite, la wollastonite, alcuni feldspati, molte fritte, il Gerstley borate, la colemanite, l’ulexite, la cenere di ossa, e cenere di legna non lavata.

L’ossido di magnesio, MgO, viene utilizzato come fondente negli smalti ad alta temperatura, e può conferire opacità e  superfici ‘matte’ anche agli smalti che maturano a più basse temperature. In eccesso può causare scagliature e punte di spillo sulla superficie. In combinazione con l’ossido di cobalto è frequente che la colorazione risulti più violacea che blu. In generale il Magnesio apporta colorazioni pastello. In caso di smalti che presentano problemi di cavillatura, alcuni degli ossidi che presentano maggior coefficiente di espansione possono essere sostituiti con il Magnesio, tenendo presente, però, che un aggiunta maggiore dello 0,1 molare può affliggere la lucidità della superficie – a causa delle proprietà refrattarie di questo ossido, che, da solo, ha una temperatura di fusione a 2800 °C. Viene introdotto negli smalti con la dolomite, il talco (come fonti insolubili), il carbonato di magnesio (poco solubile), solfato di magnesio, o sale di epsom (solubile).

L’ossido di zinco, ZnO, è un ossido metallico utilizzato come fondente negli smalti a media ed alta temperatura, in ambiente ossidante. Raramente utilizzato nelle composizioni per temperature inferiori a 1137 gradi, in atmosfera riducente si trasforma in ossido metallico fondendo a soli 417 °C e volatilizzando completamente a 950 °C. Nella sua forma ossidata ha una temperatura di fusione elevata ed a basse temperature può comportarsi come opacizzante. Lo zinco viene usato in grandi quantità negli smalti cristallini (da non confondere con le cristalline, molto diffuse da noi). E’ stato utilizzato in sostituzione del piombo (smalti Bristol) ed ha viscosità e tensione di superficie medie, di conseguenza l’aggiunta in grandi quantità può causare strappi nello smalto, mentre grazie al basso coefficiente di espansione e contrazione può essere di aiuto a ridurre il craquelé. Fonti di zinco sono Ossido di zinco, ossido calcinato di zinco (viene sottratta l’acqua molecolare e di conseguenza aiuta nei problemi di strappi) e le fritte.

Il bario, dal canto suo, è un ossido non sempre ben visto nella comunità ceramica, trattandosi sostanzialmente dell’ingrediente principale usato nei topicidi. Il bario rappresenta un pericolo se ingerito in quantità sufficienti, venendo a contatto con l’acido cloridrico dello stomaco forma un composto chiamato cloruro di bario che è di fatto letale. Il bario nella forma di carbonato, che è una delle fonti principali per smalti ceramici, non è solubile in acqua, di conseguenza non attraversa la pelle – ma i guanti vanno sempre indossati! – e non produce conseguenze note se inalato. Il consiglio è di utilizzare il bario in uno smalto chimicamente ben bilanciato, che è in grado di resistere agli acidi, alle scalfiture e all’attacco dei saponi della lavastoviglie. Le proprietà di questo fondente sono soprattutto relative alla resa dei colori, al fatto che ha un coefficiente di espansione molto basso e può contrastare la cavillatura introducendolo e sostituendolo parzialmente ad altri ossidi della famiglia RO.

Recentemente lo stronzio, SrO, l’ultimo ossido di cui parlerò, viene usato in sostituzione del bario, in proporzioni leggermente inferiori (se si vogliono sostituire 100 grammi di bario, si usano 75 grammi di stronzio) avendo sia un coefficiente di espansione che una resa di colori molto simile, non uguale, comunque, e senza tossicità. Come lo zinco, se utilizzato in quantità elevate nella formula di uno smalto, può dare luogo a strappi. La principale fonte di questo ossido è il carbonato di stronzio.

Alla prossima!

R2O, Litio, Sodio e Potassio.

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Il gruppo dei fondenti è quello che racchiude il numero più alto degli ossidi che si prendono in considerazione quando si parla di smalti ceramici. Come dice la parola stessa sono dei composti chimici che aiutano a rendere fluido l’ossido principalmente responsabile della formazione dello smalto, il silicio, che, di suo, fonde a circa 1710 gradi centigradi, un po’ troppo per i nostri forni e per le nostre tasche. I fondenti formano delle miscele eutettiche con il silicio abbassandone notevolmente il punto di fusione, in relazione alla quantità utilizzata, ovviamente. E’ da tenere sempre a mente che uno smalto composto esclusivamente da fondenti e vetrificanti non funzionerebbe, perché la miscela fusa sarebbe troppo poco viscosa finirebbe per scivolare verso il basso sugli arredi del forno (orrore!) o formare pozze sul fondo di oggetti concavi (in questo caso non è sempre una cosa negativa), quindi è necessaria l’introduzione di un ‘freno’ nella miscela: l’allumina.

In questo post però vorrei portare l’attenzione sulle proprietà e qualità dei vari fondenti, partendo dai fondenti alcalini, compresi nel gruppo R2O: il litio, il sodio ed il potassio.

Nel titolo questi ossidi sono riportati in ordine di grandezza, e in teoria dovrei iniziare parlando del litio, che però, rispetto al sodio ed al potassio è considerato un fondente ausiliare, ma sul perché ci ritorniamo tra poco.

Iniziamo con l’ossido di sodio, Na2O, che è il fondente più comune che si trova negli smalti, fonde a circa 900 °C, a 1100 °C inizia a volatilizzare e possono verificarsi dei trasferimenti di sodio da uno smalto all’altro durante la cottura ad alte temperature. Il sodio produce superfici facili da scheggiare o abradere e soprattutto, introducendo una grossa quantità (in percentuale!) di questo ossido si sviluppa la cavillatura, anche chiamata craquelé, che può essere ricercata volutamente per creare certi effetti, ma di sicuro non è una qualità desiderabile su oggetti funzionali perché questi cavilli non sono altro che fenditure sulla superficie altrimenti impermeabile di un oggetto smaltato, che possono dare, oltre ad una fragilità strutturale maggiore e maggiore assorbimento di liquidi da parte del corpo ceramico, anche un riparo confortevole per una buona quantità di batteri. Se utilizzato in grandi quantità, a causa della bassa viscosità, c’è il rischio che lo smalto coli. Di contro il sodio, oltre ad essere il fondente vigoroso che è, conferisce una risposta di colore molto buona, e questo vale per tutti i fondenti alcalini. Le materie prime con le quali si introduce il sodio, in uno smalto, sono i feldspati, le fritte, la nefelina, la cenere di legna non lavata, la colemanite, cornish stone, il carbonato di sodio, sale, borace, sodio silicato… per citare i più diffusi. In molti di questi materiali sono presenti in quantità più o meno alte anche altri ossidi.

All’incirca con le stesse caratteristiche del sodio, ma in modo meno potente, c’è l’ossido di potassio, K2O, un ossido ausiliario in quanto non può essere utilizzato da solo. Tra tutti e tre i fondenti alcalini è quello che conferisce i colori più brillanti, le superfici risultanti sono più durature di quelle ottenute con il sodio e anche la cavillatura, che si forma durante il raffreddamento, risulta meno accentuata, anche se è comunque una caratteristica degli smalti dove è presente una grande quantità di potassio o sodio o potassio/sodio. Fonde a 750 °C e non volatilizza quanto il sodio. Negli smalti il potassio viene introdotto con i feldspati, le fritte, cornish stone, cenere di perle e cenere di legna non lavata.

Il litio, Li2O è il più piccolo ossido dei tre ed è il più potente tra gli alcalini. Sia per il costo elevato in termini economici, sia perché per le sue caratteristiche non permette allo smalto di espandersi quanto il corpo ceramico sottostante, non viene utilizzato in grandi quantità. Per quest’ultima caratteristica, cioè il suo coefficiente di espansione più basso del sodio e del potassio, l’introduzione del litio come sostituto parziale di sodio e potassio, aiuta a diminuire la cavillatura. Se la quantità di litio come fondente in uno smalto è eccessiva può verificarsi l’effetto opposto della cavillatura, la scagliatura. Ulteriore proprietà è la capacità di abbassare la temperatura di fusione di uno smalto. Anche per il litio si assiste ad una buona risposta di colore, soprattutto con ferro, cobalto, rame e manganese. Viene introdotto in uno smalto attraverso il litio carbonato, fritte, spodumene e petalite.

Smalto con litio e magnesio

 

Categories: ceramica smalti tecnica

E il Piombo?

Nel post precedente non ho menzionato il Piombo come fondente per un motivo semplice: il Piombo è estremamente tossico. Per questa ragione vorrei infondere un sano e genuino terrore verso il Piombo per evitare che ci siano future ripercussioni sulla salute di chi fa ceramica e di chi la compra. Ma andiamo per gradi.

Perché si usa il Piombo? L’ossido in questione, PbO, è stato largamente utilizzato in ceramica fino a non tantissimi anni fa, ho un libro del 1981 che riporta una quantità enorme di ricette per smalti artigianali contenenti questo elemento. Le caratteristiche del Piombo come fondente negli smalti vanno dalla resa formidabile dei colori alla possibilità di essere utilizzato in un ampissimo intervallo di temperature di cottura, dando come risultato degli smalti altamente lucidi in grado di mascherare le imperfezioni della superficie, conferendo resistenza alle scheggiature e, in combinazione con il boro, all’azione degli acidi. Sempre grazie al boro diminuisce o si annulla anche la cavillatura (il cosiddetto craquelé).

Quindi perché non usare il Piombo? Come dicevo prima il Piombo è un metallo pesante, è tossico, estremamente tossico, perniciosamente tossico. Non viene smaltito dall’organismo, per cui anche una piccola quantità introdotta attraverso il contatto, l’ingestione o l’inalazione se ne sta là, buona buonina per tantissimo tempo, salvo poi creare potenziali danni futuri. Fa male ai bambini, alle donne in gravidanza e in allattamento e può causare danni alla fertilità. Il Piombo volatilizza sopra i 1170 °C sviluppando fumi tossici nei paraggi, di conseguenza non è un fondente per smalti che vanno al di sopra di questa temperatura, né per smalti che richiedono una atmosfera riducente. L’introduzione di questo ossido negli smalti dovrebbe avvenire utilizzando fritte che, attraverso il processo di produzione proprio di questo materiale, rendono il Piombo meno suscettibile di solubilità dovuta ad attacchi di acidi contenuti nei cibi e nelle bevande. Il suo utilizzo in uno smalto dovrebbe avvenire utilizzando un preciso rapporto PbO:SiO2, in grado di creare un reticolo molecolare tale da non permettere al Piombo di migrare sulla superficie del manufatto, con tutte le conseguenze del caso. Stessa cosa vale per l’utilizzo in concomitanza con il Boro. Da evitare del tutto dovrebbe essere l’utilizzo del Rame come colorante: test di laboratorio indicano che la presenza del Rame nella matrice vetrosa facilita la migrazione del piombo in superficie. Idem per percentuali di Manganese al 10% o per abbinamenti Ferro+Manganese 5%+5%. Inoltre, a seconda delle percentuali di altri fondenti come Potassio, Sodio e Litio, le perdite di piombo possono essere più alte del limite massimo raccomandato di 0,5 PPM: di più per quantità maggiori di Potassio, a seguire Sodio e Litio. Di fatto l’utilizzo in ceramica industriale del Piombo come fondente ancora avviene, ma avviene utilizzando strumenti di precisione per la misurazione di tutti i parametri e la possibilità di effettuare analisi chimiche e strutturali per determinare se l’affioramento del piombo nelle loro ricette supera o meno i limiti imposti dalle direttive internazionali.

Insomma, detto tra noi ceramisti artigiani, il Piombo rappresenta una grande incognita, sia per le precauzioni da prendere per usarlo, che potrebbero comunque non essere sufficienti a proteggerci, sia perché un qualsiasi errore nella formulazione di una ricetta o comunque una ricetta formulata male dall’inizio, non dà la garanzia di un manufatto non dannoso per la salute, nostra se lo terremo per noi o di chi vorrà ‘adottare’ le nostre creazioni.

Per approfondimenti (in inglese): qui e qui.

Alla prossima!

Come si fanno gli smalti? Parte I

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Questa è stata la prima domanda che mi è venuta in mente la prima vota che ho visto una foto meravigliosa su Pinterest, una ciotola con piatto con il bordo nero che virava al verde smeraldo e tanto, tantissimo craquelé. Detto che non so ancora come l’autore l’abbia fatto, è cominciato tutto da qua. La domanda non ha ricevuto una risposta, di conseguenza ho iniziato a cercare informazioni in tutte le direzioni, ma tutto ha portato sempre e solo da una parte: i fondamentali. Quello che ho capito è stato che uno smalto è un rivestimento vetroso composto da silice -SiO­2- e altri ossidi che vanno a conferire a questo vetro delle qualità e caratteristiche differenti a seconda delle quantità e delle proporzioni dei vari componenti. E fin qui… Poi la questione diventa un pochino più complessa, perché proprio a seconda delle proporzioni è possibile cuocere ad una determinata temperatura, atmosfera, ottenere uno smalto brillante, lucido, satinato, opaco, adatto all’uso alimentare, esclusivamente ornamentale… tutto dipende da quello che c’è nel mix di materie prime e da quanto ce n’è.

Come inizio direi che è necessario specificare una cosa che nella ricerca di informazioni è saltato fuori quasi tutte le volte, ovvero che lo smalto è composto da tre tipologie di ossidi: quelli che aiutano a fondere il vetro, quelli che aiutano a tenere fermo il vetro sulla superficie (vaso, tazza, piatto, scultura, qualsiasi cosa) e quelli che formano il vetro. Oltre a queste tre categorie fondamentali ci sono anche gli ossidi opacizzanti e gli ossidi coloranti, questi ultimi vengono aggiunti alla fine nelle ricette e non concorrono a formare il totale (100).

Spesso queste tre tipologie di ossidi vengono indicati come RO/R2O (fondenti),  R2O3 (stabilizzanti) e RO2 (vetrificanti). Sì, è un casino ricordarseli tutti ma alla fine vale la pena fare lo sforzo perché serviranno per capire tante altre cose.

La famigerata tavola periodica contiene una marea di elementi chimici, ma per i ceramisti solo alcuni dei simboli presenti sono necessari allo scopo e quindi yay! una cosa semplice!

Veniamo al dunque.

  • Per la categoria RO/R2O (fondenti) abbiamo: Magnesio, Calcio, Bario, Stronzio, Zinco (RO), Litio, Sodio, Potassio (R2O), ed il Boro*.
  • Come R2O3 (stabilizzanti) l’allumina.
  • I RO2 (vetrificanti) sono il Silicio, il Boro*, il Fosforo**.

Da notare che raramente questi ossidi vengono introdotti in maniera pura, ma sempre sotto forma di composti, ma ci arriveremo.

Di seguito una tabella che aiuta a visualizzare quanto sopra:

ossidi

* e **: Il boro e il fosforo da soli non sviluppano vetro, deve sempre esserci del silicio. Il boro presenta delle proprietà simili a quelle dei fondenti, e la formula molecolare somiglia a quella dell’allumina, in pratica è un po’ il jolly di uno smalto.

Alla prossima!

Un buon inizio.

Con l’inizio del nuovo anno non ho messo insieme alcun buon proposito. Però ho iniziato una sfida personale che che consiste nella lettura di tutti i manuali di ceramica che ho acquistato fino ad ora. Oltre ad “impara l’arte e mettila da parte“, per me succede anche “compra le informazioni e riponile sullo scaffale sperando che la mera presenza di tanta statica conoscenza si infonda automaticamente nel tuo essere e venga magicamente metabolizzata dal tuo cervello”. No, non funziona così. I libri vanno letti, anche se definiti “da consultazione”, ma consultazione vuol dire ritornare su quel passaggio o capitolo dopo avere letto tutto, anche perché diversamente non è possibile contestualizzare le informazioni che vengono fornite.

Nei mesi scorsi la mia concentrazione si è spostata su un argomento tanto sfuggente quanto gratificante e allo stesso tempo in grado di proiettarmi in uno stato di insicurezza dato dalla quantità di informazioni ed azioni necessarie a conseguire una padronanza almeno minima della materia: gli smalti ceramici. Tralasciando cosa ha portato ad interessarmi alla ceramica, il successivo passo è stato verso i rivestimenti, così lucidi (o satinati!), screziati, colorati, traslucidi, opachi… insomma: belli, belli da sogno. Il primo problema che ho dovuto affrontare è stata una sostanziale mancanza di informazioni in lingua italiana sufficienti a darmi l’input per iniziare uno studio da autodidatta. Dopodiché la naturale evoluzione della ricerca si è spostata su Pinterest, dove si vedono un sacco di belle cose che sembrano facilissime, e invece facilissime non lo sono o per lo meno i risultati non sono mica come si vedono nelle foto. Comunque. Tra i vari risultati di Pinterest saltano subito all’occhio le tabelle con tante belle ricette e la relativa temperatura di cottura, poi vai a leggere e oh! ma che materiali sono? Ricordo ancora quando fiduciosa mi sono rivolta al rivenditore di fiducia chiedendo il Gerstley Borate, ricevendo in riposta degli sguardi perplessi e la proposta di una fritta boracica. No, va bene, grazie, a posto così. Che dire, forse un proposito per l’anno nuovo l’ho trovato, magari posso portare un po’ di chiarezza sull’argomento condividendo un po’ di conoscenza acquisita sui vari libri in lingua inglese e su osservazioni, sempre tenendo a mente che la padronanza degli smalti si ottiene dopo anni di prove e dopo tanti sforzi per comprendere una materia che allo stesso tempo racchiude chimica, fisica, geologia, reologia estetica e tante, tante altre cose. Sono una principiante, non ho difficoltà ad ammetterlo, ma mi piacerebbe mettere a disposizione quello che imparo mentre lo imparo.

Se qualcuno di voi là fuori è interessato a saperne di più… battete un colpo!

Alla prossima!

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