Categoria: cottura

Esperimenti con uno smalto per ceramica shino gold

Ciao! In questo periodo di quarantena non è facile portare avanti la ceramica, il mio laboratorio è lontano da casa e non ho potuto raggiungerlo. Ho recuperato un pacco di argilla rossa che più rossa non si può e ho cominciato a giocarci, come non facevo ormai da tanto tempo, ho creato oggetti a colombino e anche con la tecnica pinch o pizzicato, i risultati sono stati molto incoraggianti e spero di poterli mostrare cotti il più presto possibile!

Questo piccolo contenitore è stato un esperimento al tornio. Non è perfetto ma l’ho trovato abbastanza carino da ritenerlo buono per il biscotto. Ha avuto una sorte particolare, se volete sapere che fine ha fatto leggete di seguito…⁠

Dopo la prima cottura a biscotto ho applicato questo smalto sperimentale che ho preparato seguendo le linee guida per una tipologia molto particolare di rivestimento, adatta soprattutto per le cotture atmosferiche (in questo caso utilizzando la legna come combustibile) chiamato shino. Lo shino è un tipo di smalto che non contiene una quantità esagerata 😄di allumina, e uno solo dei due tipi di fondenti. Il risultato è bellissimo, ma il mio smalto è un esperimento. Secondo voi com’è andata? 😊⁠

 

Esperimento… non riuscito! 💔Purtroppo il risultato non è stato all’altezza delle aspettative, ma sicuramente ha un aspetto interessante, anche grazie alla cenere che si è depositata sul coperchio durante la cottura. Perché? Errore n.1: aggiungere acqua non necessaria! Ogni smalto ha una quantità d’acqua ideale per esprimere il potenziale che stiamo cercando in lui! In questo caso, trattandosi di uno smalto con una quantità ridicolmente alta di argilla suddivisa tra ball clay e caolino, contenendo anche del carbonato di sodio, il mix era estremamente denso e praticamente impossibile da applicare. Dopo aver aggiunto del silicato di sodio sperando che potesse migliorare la situazione, ovviamente senza successo, ed essendo piuttosto di corsa (il giorno dopo avrei dovuto effettuare l’applicazione), ho aggiunto acqua. Ovviamente senza quasi alcun cambiamento. Il giorno dopo, forse per via dell’acqua che finalmente era penetrata tra le particelle, lo smalto aveva una consistenza più umana. ⁠

Qualche aggiornamento…

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Ciao a tutti. Una delle regole di base per avere un certo tipo di presenza online, oltre a quella di creare dei contenuti originali ed interessanti è quella di prevedere una certa regolarità negli aggiornamenti. Questa è una regola che decisamente ho infranto lasciando passare molti mesi tra un articolo e l’altro. Il problema con la creazione di contenuti è che è necessario, almeno per lo standard qualitativo che mi sono imposta, un grosso grosso quantitativo di risorse mentali che spesso non ho. Questo perché (e ora vi racconto la mia giornata tipo per farvi comprendere) lavoro in un ufficio la mattina, ed appena ho finito corro a diversi chilometri di distanza (nel traffico di Roma) nel mio laboratorio. Purtroppo non sempre è possibile andarci perché comunque ho una casa e tre gatti a cui badare, e avendo visto cosa succede se non sono presente il giusto, è di fondamentale importanza che sia lì ogni tanto. Detto questo, quando torno la sera, magari intorno alle 9, l’unica cosa che vorrei fare è diventare un tutt’uno con il materasso fino al giorno successivo.

In questi mesi sono stata inoltre immersa in un progetto a dir poco impegnativo che, a causa della mia scarsa esperienza nella realizzazione, ho preso un po’ alla leggera calcolando malissimo i tempi di realizzazione. Si trattava di 200 pezzi tutti uguali più sei pezzi che richiamavano i 200 ma con qualcosa in più. Sto parlando della realizzazione di bomboniere per il matrimonio di due amici di vecchissima data. Il concept era incentrato sul mare, ed abbiamo stabilito che le protagoniste della serie sarebbero state delle stelle marine da utilizzare come calamite. Come procedere nel caso di 200 pezzi da realizzare in tempi brevi(nella mia testa!) e senza grosse differenze tra l’uno e l’altro? Ho deciso di procedere concependo un prototipo dal quale ho ricavato uno stampo in gesso.

Non avendo mai creato da sola uno stampo di successo, una grossa parte del tempo è trascorsa preoccupandomi di tutto quello che poteva andare storto: gesso troppo morbido e friabile, gesso troppo duro e poco assorbente, gesso che non si sarebbe staccato dal piano in formica… insomma, tutti pensieri che hanno boicottato la mia capacità di agire, finché non ho realizzato che il malessere che provavo nel realizzare il primo passo era dovuto proprio ai dubbi. Dubbi che sono stati risolti chiedendo al mio fornitore il codice del gesso che avevo acquistato, apprendendo con sollievo che si trattava di una marca molto diffusa per il quale era presente documentazione con le specifiche sulle parti di gesso vs parti di acqua in un comodo pdf, trovato facendo una ricerca con Google. A quel punto potevo iniziare. Ho creato prima uno stampo singolo del prototipo, da quello stampo ho creato 9 altri prototipi tutti uguali da cui ho ricavato un ulteriore stampo multiplo che avrebbe reso più veloce (almeno così pensavo) la realizzazione dei famosi 200 pezzi.

Ovviamente così non è stato. La ragione risiede nel fatto che lo stampo è stato creato i primi di gennaio, è stato ad asciugare in un luogo abbastanza umido e freddo che ha posticipato anche il momento di inizio dei lavori. Oltre a questo la forma del pezzo era tale che non risultava facilissimo estrarre la forma senza romperla o deformarla, tenendo presente che sul lato inferiore avevo previsto un piccolo incavo circolare che doveva contenere calamita e collante.

La stella marina comunque aveva una profondità ridotta e l’incavo doveva essere abbastanza grande e profondo da alloggiare una calamita senza creare troppo spazio tra il piano dove sarebbe stata attaccata e il pezzo stesso. Questo ha causato il ‘lancio della stella’ nel secchio dell’argilla da riuso più di una volta con conseguente diminuzione dei pezzi pronti per ogni giorno di lavoro. Nella mia testa ero convinta di viaggiare sulle 40 stelle al giorno, quando se tutto andava bene, ma davvero davvero bene, di pezzi pronti ne potevo avere 27 a fronte di 3/4 ore di lavoro -tedioso- a premere gres nei bracci delle stelle, rimuovere l’eccesso, praticare l’incavo, rimuovere l’ulteriore eccesso di argilla, imprimere il marchio con le iniziali VMC,  aspettare che asciugasse il pezzo per estrarlo con cura e adagiarlo su un piano in compensato, dove poi avrei rimosso le crepe superficiali con una spugna, e finalmente procedere a dare la texture superficiale con un piccolo attrezzo da cake design.

 

Al di là dei tempi per la formatura in sé stessa, al contrario di quella che pensavo potesse essere una mia buona capacità di creare pezzi facendo sempre le stesse azioni, muoversi quasi meccanicamente facendo la stessa cosa dalle nove alle ventisette volte in poche ore mi ha decisamente logorato. Però alla fine i biscotti sono stati tirati fuori dal forno, ingobbiati e poi smaltati, con un risultato piuttosto soddisfacente, sia guardando il pezzo singolo, sia per quanto riguarda la visione d’insieme che, devo ammettere, è stata piuttosto bella.

I sei pezzi extra erano delle mattonelle di circa 10×10 con la cara vecchia stella marina incollata sulla superficie, ingobbiata in bianco molto leggero e smaltata sempre con una base trasparente. Il resto della superficie era con sovrapposizioni di uno smalto matte al rame e titanio altamente cristallizzante sopra la base trasparente lucida, creando effetti e colori diversi rispetto agli originali.

Qualche difficoltà anche là, dovuta alla riuscita dell’asciugatura non potendo poggiare sulle mattonelle uno strato duro che le tenesse piatte mentre asciugavano, e qualche timore relativo alla deformazione in cottura ad alta temperatura per via della trazione esercitata da uno strato multiplo di smalto solamente su un lato. Alla fine l’asciugatura è stata portata a termine usando della gommapiuma da imballaggio sopra le mattonelle, sopra la gommapiuma una tavola di compensato e sopra i due materiali il calco in gesso per mantenerci del peso costante.

Alla cottura di prova le mattonelle smaltate si sono deformate, ma per fortuna la deformazione era dovuta ai piedini che avevo messo sotto la lastra in caso lo smalto molto spesso fosse colato giù ed evitare che diventasse un pezzo unico con la tavella del forno. Alla fine i pezzi sono usciti dritti, ben smaltati e con degli effetti davvero molto belli, nonostante in quest’ultima cottura il forno abbia impiegato più di sei ore rispetto a quanto previsto, non raggiungendo per 9 gradi centigradi la temperatura massima impostata, spegnendosi poi con un errore.

Finalmente il lavoro è stato consegnato, i committenti sono rimasti contenti e finalmente è possibile continuare con i nuovi progetti, del resto Natale 2019 è alle porte!

A presto!

VeronicaM

 

I coni pirometrici

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Coni montati su un supporto di argilla refrattaria.

Uno strumento molto importante nella misurazione del lavoro svolto dal calore nei forni per la ceramica è rappresentato dai coni pirometrici. Rispetto alla storia della ceramica sono uno strumento ‘moderno’, messi a punto nel 1886 dal chimico tedesco Hermann August Seger. Prima dei coni, e dei pirometri moderni, la temperatura di un forno veniva stimata a vista – sì, con gli occhi! – basandosi sul colore che la fiamma prendeva nei vari stadi di cottura. Questo metodo, oltre che non esattamente accurato (si basava infatti sull’abilità di chi era addetto a questo compito) era anche estremamente dannoso per la vista, portando progressivamente alla cecità. Oggi disponiamo di pirometri deputati a misurare la temperatura nei vari stadi di cottura, ma anche questi ultimi, a meno di non avere tra le mani degli strumenti estremamente costosi come ad esempio un pirometro ottico, possono non essere precisi, con uno scarto anche fino a 25 gradi centigradi al di sopra o al di sotto della temperatura ideale per i nostri scopi. Questo accade perché il materiale di cui è composta la termocoppia posta all’interno della camera di cottura del forno va incontro a degradazione graduale nel tempo rendendo così la misurazione via via sempre più imprecisa. I coni, che hanno una composizione standard a seconda della quantità di lavoro sviluppato dal calore che devono andare a misurare, rappresentano uno strumento estremamente utile e preciso per capire quanto efficace sia stata la cottura, ed oltre a questo vengono anche utilizzati per mappare le zone più o meno calde del nostro forno (non pensavate mica che il calore fosse uniforme in tutto il volume della camera di cottura, vero?). Ogni cono, come dicevo più su, è composto da determinate quantità di fondenti e di vetro, in proporzioni variabili a seconda del calore che deve essere sviluppato per far funzionare uno smalto. Di fatto, i coni, sono composti dalle stesse materie che compongono uno smalto. Un cono, in pratica, è uno smalto esso stesso. Il cono numero 4 fonde completamente a cono 10. Sono ovviamente tarati in modo tale che ad una data temperatura prendano sempre una curvatura precisa. E’ facile comprendere, secondo quest’ottica, che la temperatura finale alla quale impostiamo il forno, o dichiariamo di cuocere uno smalto, lascia il tempo che trova, in pratica non significa quasi niente. Quello che è importante capire, dunque, è che non è la temperatura in sé stessa che matura uno smalto, ma il lavoro, l’effetto, che il calore sviluppa, promuovendo la fusione dei diversi materiali, amalgamandoli tra loro e creando una matrice amorfa e stabile in grado di resistere ad attacchi di agenti chimici, uso quotidiano e via dicendo. Se guardiamo ad esempio la tabella della temperatura dei coni Orton, notiamo intanto che esistono diverse tipologie di coni, e che ad ogni cono corrispondono diverse temperature in base alla velocità a cui viene completata la cottura negli ultimi 100 gradi. Vi porto l’esempio del cono 10, spesso rappresentato con il simbolo Δ, Δ10, dunque. Prendiamo in considerazione il cono grande, o large cone, nelle tabelle. Le due temperature finali dichiarate sono 1282 gradi e 1303 gradi, perché? Perché come dicevo poco più su, la temperatura finale varia in base a quanto velocemente viene completata la cottura durante gli ultimi 100 gradi. Spiego meglio: la temperatura di 1282 è sufficiente per cuocere uno smalto che ha una formula ovviamente specifica per questo lavoro di calore, se gli ultimi 100 gradi di questa cottura vengono completati ad una velocità di 60 °C all’ora. Significa che da 1182 a 1282 gradi il tempo impiegato è di un’ora e quaranta minuti. Questo ritmo ha lo stesso effetto in termini di fusione di una rampa che va da 1203 a 1303 °C in quaranta minuti. La precisione della misurazione, in ogni caso, è strettamente dipendente dal modo in cui vengono montati. Diciamo che per semplificarci la vita basterebbe utilizzare la tipologia di coni autosupportanti(tra l’altro le temperature finali, per questa tipologia di cono, sono ancora differenti), ma la facilità con cui possono essere reperiti i large cones rispetto ai self-supporting cones, fanno sì che gli accorgimenti necessari – e ce ne sono! – per una riuscita della misurazione siano un fastidio minimo rispetto alla quantità di informazioni che è possibile raccogliere grazie ad essi.